L' uomo sulla cresta
C’è una regione tra la veglia e il sogno, tra l’avanzare del corpo e la fissità dell’essere, dove il tempo non si misura in minuti, ma in battiti.
Non ricordo se fosse l’alba o il tramonto, né se il mio camminare avesse uno scopo.
C’era silenzio. Quel tipo di silenzio che esiste solo in quota, dove il respiro rallenta e i pensieri diventano nitidi.
Ero in cammino da ore, il corpo stanco ma la mente lucida.
Una lucidità che solo il movimento ed il silenzio ti possono regalare.
Era uno di quei giorni in cui non cerchi nulla, ma tutto sembra voler accadere.
Fu lì, in bilico su una cresta stretta tra il cielo e la roccia, che lo vidi.
Sedeva su una pietra piatta, il corpo avvolto in un mantello scuro, una barba di mille giorni e lo sguardo perduto in un punto indefinito all’orizzonte.
Non mi salutò, né si presentò.
Eppure, quando mi avvicinai, cominciò a parlarmi come si parla a qualcuno che si è atteso a lungo:
“Vieni da lontano. Ti vedo stanco, eppure porti il sole.”
Non gli importava da dove venissi, ma da quanto tempo camminassi in quel modo —
cercando senza inseguire, osservando senza parlare troppo,
ascoltando il mondo come se sussurrasse qualcosa che ad altri sfugge.
Allora gli risposi:
“Da sempre, credo.
Ma solo da poco ho iniziato a capirlo.”
Parlammo di visioni, di parole che guariscono, di silenzi che nutrono. Il suo sguardo era assertivo, non giudicante e gli occhi di un marrone intenso.
Mi disse di non avere fretta, che la verità si mostra a coloro che sanno essere pazienti.
Parlammo ancora — o forse fu più un condividere silenzi.
In quei silenzi, però, vi era tutto.
Difficilmente ho trovato tale intesa con una persona.
Mi è più facile con gli animali, o con i bambini.
Eppure, lui sapeva anticipare ciò che la mia bocca e il mio pensiero stavano per proferire.
Capì che il tempo non va rincorso, ma abitato.
Che c’è una saggezza che arriva solo quando smetti di cercare.
Che la solitudine, se accolta, diventa una casa.
Mi disse che anche lui aveva provato a parlare, a cambiare, a spiegare.
E poi aveva capito che alcuni semi germogliano solo se non li si guarda troppo.
Come già detto, non si presentò.
Eppure nella sua voce c’era qualcosa di estremamente familiare,
come se mi parlasse da dentro,
da una parte di me che avevo sempre saputo esistere, ma che non avevo mai osato ascoltare.
Forse per timore.
Il tempo si dilatò in una sequenza di battiti incalcolabile, giungendo inevitabilmente al termine.
Salutai l’uomo misterioso e mi rimisi in cammino. Vi era ancora molto da fare.
Mentre mi allontanavo, mi voltai un attimo, per controllare se davvero fosse lì.
Se lo avessi sognato, immaginato, evocato.
Ma già non c’era più.
La pietra era vuota.
Eppure — lo giuro — qualcosa in me era cambiato.
Continuai a camminare, ma non nello stesso modo.
Non so chi fosse l’uomo sulla cresta.
Forse me stesso in un altro tempo?
Non so se fu reale, o solo l’eco di un futuro che mi attende.
So solo che alcuni incontri non accadono nel tempo,
ma nell’essere.
E che, quando li vivi, la realtà perde un po’ della sua maschera.
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