Oltre la scissione tra corpo e spirito: il dilemma del tempo
Siamo abituati a concepire il tempo come un susseguirsi di eventi, abbiamo calendari, orologi e cronometri per tentare di dare ordine e direzione ad un flusso infinito, come tentare di catturare il vento.
Condensiamo l’eternità in un orologio da polso, ma forse ci siamo persi in un'increspatura su uno specchio d’acqua, forse è solo un frammento di un tutto più ampio.
Il tempo, per come lo concepiamo, è forse solo un’illusione creata da una mente troppo piccola per contenere l’infinito respiro del mondo. Passato, presente e futuro si sgretolano quando ci accorgiamo che tutto ciò che esiste altro non è che un unico istante eterno, un flusso continuo di cui il Big Bang non è solo origine, bensì continuum. La nostra tendenza a sezionare la realtà in “prima” e “dopo” altro non è che una strategia evolutiva, un modo per sopravvivere, ma non per comprendere.
"Se il tutto si compone di un solo e unico istante, passato presente e futuro null’altro sono che proiezioni di una mente troppo imperfetta per concepirlo”.
Questo flusso, o respiro del mondo, si manifesta senza mediazione nel corpo, nell’involucro primordiale. Là dove il movimento è azione pura, istintiva, senza la mediazione di un pensiero che divide e nomina. Lì si compie la magia: la realtà si esprime e si crea nello stesso gesto che la abita. L’io, così come lo intendiamo, altro non è che una barriera alla percezione di questo flusso unico, perché nasce dalla mente che pretende di separare, di controllare, di possedere. È già qualcosa che si pone fuori, come se il mondo venisse a noi e non attraverso di noi.
Abitare il flusso, dunque, non significa lasciarsi andare senza misura, ma accogliere corpo e mente per ciò che sono, senza eccedere, senza reprimere. Non possiamo sfuggire alla nostra natura, ma possiamo danzarci dentro. I nostri antenati lo sapevano, lo vivevano. Per millenni siamo stati parte della natura, non osservatori esterni. Ogni gesto aveva un ritmo, ogni tempo uno spazio per l’ozio, per il non-fare, per il silenzio fertile che produce e che oggi ci è negato per le logiche iper produttive all’interno delle quali siamo inseriti.
La radice di questa secolare frammentazione si trova nel padre della filosofia e del pensiero occidentale: Platone.
Con la sua filosofia egli ha attuato di fatto una separazione tra mondo delle idee e mondo sensibile, dando origine a una visione dualista e divisiva della condizione umana.
Un’idea che ha avvelenato le menti e condizionato la filosofia, la religione e la cultura occidentale per secoli, impedendo all’uomo di vedere l’unità che sottende ogni cosa.
Eppure, il ciclo si è rotto.
Pensatori come Nietzsche, Sri Aurobindo ed Erich Fromm hanno, col loro pensiero, riunificato questa dicotomia, proponendo una visione in cui corpo e spirito non sono più opposti, bensì integrati. Nietzsche ha rivendicato il corpo come luogo della verità e l’eterno ritorno come visione ciclica del tempo; Sri Aurobindo ha visto la materia come Spirito in movimento; Fromm ha indicato la via dell’essere, dell’integrazione fra azione e pensiero.
Ora sento che abitare il flusso è forse l’unico atto veramente umano che ci resta. È imparare a vivere senza pretendere di controllare ogni attimo, ma lasciandosi attraversare dal continuo movimento della vita, in un abbraccio che non conosce confini. Un ritorno e, insieme, un andare
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