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Un passo segue l'altro

Un passo segue l’altro, portandomi in quella che era casa, ma che ha smesso di somigliarle ormai da tempo.

Riesco ancora a sentire l’odore delle lasagne della domenica provenire dalla cucina.

Là dove ora c’è solo un grigio davanzale attraversato da una luce tenue, un tempo c’era vita.


Un passo segue l’altro, ancora, portandomi nella mia vecchia camera.

Sedendomi su quel vecchio lettino si alza una nube di polvere, che si unisce in danza con la luce.

Tutto sembra così vivo, eppure è solo nella mia testa.

Non resterà nulla a chi verrà dopo.

Vorrei che i muri potessero parlare, per raccontare a chi verrà quanto amore ha respirato questa casa.

Vorrei anche che il pavimento parlasse, così da potermi far udire ancora una volta i passi lesti del mio cane, quel ticchettio vivace che rompeva il silenzio del pomeriggio.

Eppure, è solo nella mia testa.

Anche la luce pare diversa.

Come se avesse perso il suo colore dorato, diventando bianca e spettrale.

All’ombra di quella luce calda, mamma — col grembiule macchiato di ragù — si affacciava dalla cucina.

Se mi concentro, posso ancora sentirla urlare: “A tavola!”

E puntualmente arrivavo senza aver apparecchiato.

Mi vedo.

Nel centro della stanza, seduto per terra: sono io.

Il me stesso bambino.

Amavo giocare con le costruzioni.

Lui guarda verso di me, ma non mi riconosce.

Fa finta di nulla. Continua a giocare.

E io? Io sono qui.

Ma… qui dove?

Forse non sono mai andato via.

Forse non esiste “adesso”, non esiste “poi”.

Forse esistiamo nei ricordi quanto nella realtà